Finalmente sto “capendo” qualcosa in più di questo Web 2.0 anche se più vado avanti nella comprensione e più mi rendo conto che si aprono forti contraddittori: sarò controcorrente ma spesso mentre navigo ed utilizzo dei servizi mi sembra di stare in un sogno digitale, anzi no, in una vera e propria bolla di sapone. E pensare che tutti scongiurano da tempo ormai questa possibilità ma a guardare lo scenario attuale non c’è da essere poi così tanto ottimisti; e non mi convince neanche fino in fondo la strategia anti-bolla 2.0.

Certo, le persone (anzi le loro idee) costruiscono l’innovazione e la seguono, viaggiano al di sopra di obiettivi e prodotti creativi (realizzabili ormai con bassi costi tecnici ma con comunque rilevanti risorse umane) che spesse volte non sono realizzati ad hoc per gli utenti e soprattutto per le loro esigenze e necessità. Mi spiego: nonostante se ne faccia tanto parlare a volte abusandone a mio avviso la convergenza finora non è mai stata veramente realizzata perchè non ci sono prodotti che sono utili agli utenti nel concreto, che possono risolvere problemi comuni e quotidiani o ancora meglio soddisfare le loro abitudini senza stravolgerle o sedurle (come fanno in parte invece ad esempio i social network). Forse ciò accadrà veramente con il Web 3.0 o nel prossimo venturo, quando intelligenza artificiale, reti neurali, web semantico non saranno più solo teoria ma realtà pratica.

Ed è per questo che forse a volte bisogna parlare anche di business model, dell’obiettivo concreto che hanno le nuove aziende e startup per non cadere nel baratro della banalità e confondere le idee dei consumatori e degli imprenditori che investono nei prodotti.

Ad esempio proviamo ad analizzare un servizio come Twitter che è in fondo abbanza frivolo (anche se inizialmente aveva anche altri scopi) nonostante alcuni ne abbiano immaginato un uso particolare come ad esempio quello nel settore sicurezza per monitorare le abitazioni o tentato di dare definizioni quasi alla stregua di thriller o serie tv: Fred Wilson scrive un ottimo post facendo considerazioni interessanti quanti semplici riguardo il business model di Twitter e dei servizi Web 2.0.

Le startup che hanno avuto successo come YouTube, Skype, Facebook hanno iniziato senza avere un modello di monetizzazione preciso e nonostante gli investimenti e le acquisizioni in fondo non hanno perso la loro identità originaria.
L’altro aspetto riguarda il fatto che è possibile davvero fare soldi solo se si ha a disposizione un audience largo ed un pubblico forte ed ampio in barba a coda lunga o long tail. Lo sostiene anche Jason Calacanis scrivendo: “business models!?!?! The business model comes AFTER you get to scale“.

Inoltre, come dice Marc Cantor per favorire il lavoro degli sviluppatori e dei programmatori che vogliono realizzare applicazioni usando le API è necessario che un servizio come Twitter scelga un business model preciso e chiaro.

In parole povere creare delle metriche larghe riguardo il traffico di utenti pare rimanga una delle necessità fondamentali prima ancora della ricerca del modello pubblicitario e del business model: ci si può infatti sempre affidare al Venture Capitalist del quale ci sono esempi di successo come Sequoia, Accel ed altri.

Eppure questa ricerca degli utenti e della massa critica va proprio contro la teoria delle nicchie e della Long Tail del quale tanto si è parlato in questi anni.

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