Riflettevo su due eventi che mi hanno portato ad alcune semplici riflessioni sul panorama produttivo italiano di Internet. Probabilmente il discorso si può espandare anche ad altri settori, considerando che il prossimo Governo deve sostenere e facilitare una crescita economica che non c’è.
Il gap tra l’Università ed il mondo del Lavoro
Non me ne intendo, mi sento e sono nell’anima uno studente universitario. Stavo pensando che se lo fa il MIT (Massachusetts Institute of Technology), uno degli Istituti più noti al mondo anche per la sua eccellenza, allo stesso modo nel suo piccolo qualche università italiana potrebbe seguire questo esempio: Google ha sponsorizzato al MIT il corso Building mobile Applications with Android, ovvero come sviluppare e costruire applicazioni sul sistema operativo per dispotivi mobili, Google Android. I risultati prodotti dagli studenti sono fantastici, tantissime applicazioni alcune delle quali davvero interessanti.
Perchè non ripetere l’esperienza (magari viene già fatto ma non ne sono a conoscenza) anche in qualche Università pubblica italiana? Mi farebbe piacere cosa ne pensa il professore Fuggetta da sempre attento alle problematiche della ricerca e dell’università italiana.
Quel made in Italy che non c’è
Ricevo spesso email di developer che mi segnalano servizi che hanno realizzato, spesse volte sconosciuti ai più. Devo scusarmi con tutti loro se impiego del tempo per parlarne ed esaminarli ma sono davvero tanti e la mia memoria a volte vacilla, dovrei organizzarmi meglio.
Alcune iniziative tendenti a creare una sorta di made in Italy della Rete sono da apprezzare ma non ho idea di quali risultati abbiano portato in concreto. Guardando la lista dei finalisti della gara tra le startup europee che citai già in questo post, Startup.eu, non ho notato nessuna idea ed azienda italiana tra quelle che si erano proposte, neanche il noto mashup HelloTxt. Certo, è solo una competizione ma risulta desolante l’assenza di un brand vincente che collezioni una fucina italiana di talenti che seppure esiste è costretta ad emigrare o magari a lavorare e sudare per progetti di routine poco esaltanti e creativi.
Favorire queste attività imprenditoriali con quei pochi incubatori precari indotti da mecenati visionari finora non è servito a nulla.
Nel mio piccolo più che fare da aggregatore e punto di riferimento per far conoscere servizi e programmatori non posso fare, anzi se hai idee per favore scrivimele. In ogni modo a breve però segnalerò un progetto che potrebbe interessare specialmente i giovani del Sud Italia, segui i prossimi post.
Eppur si muove…hai ragione sulla desolazione italiana, ma le colpe sono da ricercare in tanti lati. Io personalmente, da bravo ragazzo del sud, mi sono mosso, e sai cosa stiamo realizzando e chi ci ha contattato.
Se dovesse andare in porto il prossimo passo è l’incubatore, tra l’altro spero di poterne parlare con gli amici che ci hanno invitato allo European StartUp per vedere cosa si può fare insieme. Insomma, essere notati, invitati, e volerci incontrare mi pare già qualcosa…
“…una fucina italiana di talenti che seppure esiste è costretta ad emigrare o magari a lavorare e sudare per progetti di routine poco esaltanti e creativi.”
Hai colto il cuore del problema.
Sicuramente una maggiore e migliore strategia collaborativa tra università/ricerche e imprese sarebbe auspicabile, non mi soffermo su questo punto perchè lascio che altri se ne riempiano la bocca.
– Personalmente credo che serva un maggiore coraggio nella vision dei propri progetti, cioè partire da progetti che siano anche di ampio respiro, politica dei piccoli passi, ma senza censurarsi troppo, sognare insomma. Imparare a partire da progetti low cost, fatti quasi di notte e nel garage…ma pronti a essere valorizzati da un marketing sapiente.
– Imparare a collaborare e fare rete, non essere sempre conflittuali e avere la “sindrome da primo della classe”, confrontarsi e individuare strategie collaborative e sinergie ottimali può fare la differenza nella creazione di un progetto creativo.
– Individuare magari delle aziende o consorzi/distretti aziendali alle quali un “pezzettino” di idea può dare valore aggiunto, creare cioè un rapporto win-win con aziende che possono trarre vantaggio come noi dallo sviluppo di un progetto.
– Ragionare da imprenditori e non da scienziati-operai a cottimo, ovvero saper “rischiare” con la logica di stock option, royalities e altre forme legate agli obiettivi e al risultato.
– Infine nota dolente il sistema bancario o di investimento che non decolla e sarebbe necessario credo un sistema di Micro Venture Capital di tipo “tribale” o “amicale” ovvero sistemi di micro venture legati a spostamento di piccoli capitali di amici e parenti, che non rischiano capitali, semplicemente lo spostano su fondi dedicati al nostro progetto e non per finanziare progetti che non conoscono. Sostanzialmente la resa dovrebbe essere identica alla banca ma con la possibilità di divedere gli utili ricavati, mentre per la start up ci sarebbe il beneficio di disporre di una base capitale che ha contribuito a spostare sul proprio progetto.