La satira va sempre di moda così come parlare dei suoi effetti, della moralità e di altre pippe noiose. Ci si prende troppo sul serio. Non se se gli autori di Spinoza usino delle regole auree per far ridere (a proposito fossi in loro contatterei Vauro chiedendogli di disegnare una vignetta il Giovedì sera, chè tanto in Rete tutto si può) ma c’è un articolo di Repubblica che segnala una ricerca scientifica secondo la quale la comicità è racchiusa in 8 modalità precise. A me fa sorridere, son cose che anche il più imbranato dei cabarettisti conosce già:

Le tipologie del “sense of humour” calzano entro otto precise categorie, che niente hanno a che vedere con il grado di civilizzazione o culturale né con il nostro gusto personale.
Il primo della lista è quello della “ripetizione positiva“, ovvero quella ripetizione continua di una frase, un gesto o un’intera scena che ritroviamo nel cabaret e che appartiene allo spettacolo fin dalle origini della commedia. In una parola, un tormentone.
C’è poi il meccanismo della “qualificazione“, meno intuitivo del precedente, dove una parola familiare è detta in modo non altrettanto familiare (un esempio per tutti l’accento dell’ispettore Clouseau nel film “La pantera rosa”).
Il terzo schema è quello della “ricontestualizzazione qualitativa“, che si presenta quando qualcosa che conosci bene viene stravolto o ridicolizzato. In questo caso può trattarsi anche di una situazione scollegata dal mondo dello spettacolo, di vita quotidiana, come ad esempio il nuovo taglio di capelli di un amico che di colpo somiglia a un carciofo.
Ci sono poi gli schemi della “fine“, quando cioè è il pubblico a dover completare con la propria immaginazione il senso di una frase o di uno scenario, della “divisione”, che si ha quando una situazione viene interrotta e ripresa da più persone, e dell'”opposizione”, che include tutto ciò che è riconducibile all’ironia e al sarcasmo.

Ora sapete come stimolare la risata ma state attenti: è tremendamente più difficile che far piangere.

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