Ieri c’era un bell’articolo online sul Guardian a firma di Bobbie Johnson: How can Google cope with Twitter pollution?
La questione fondamentalmente è questa: con il continuo proliferare degli account pubblici di Twitter e di Facebook che vengono indicizzati da Google diventa sempre più difficile trovare le informazioni che ci servono quando facciamo una ricerca. Si ritorna alla domanda: come e perchè usiamo Google?
Si ha la sensazione infatti che con il lifestreaming le ricerche di Google siano leggermente peggiorate a causa di questo inquinamento, del fatto ad esempio che ci sia un grosso pericolo di Spam sui social media, che per fare SEO e pubblicizzare i siti web, i webmaster usino il rank degli account di Twitter per salire a “galla” nei risultati di ricerca di Google.
Il problema è evidentemente serio, per alcuni abbastanza vecchio perchè appartiene a quella schiera di persone che guarda malissimo all’eccesso (overload) di informazioni. Per altri, invece, è pericoloso in relazione alla costruzione (automatica?) di un Web che sia semantico.
Non so perchè ma quest’ultimo passaggio ultimamente mi sembra sempre più lontano: i troppi interessi in gioco non permetteranno mai di avere un Web veramente trasparente ed utile?
In che modo la realtà di tutti i giorni, quella che portiamo e viviamo continuamente live sul Web, influenzerà i comportamenti e l’evoluzione di Internet?
La soluzione forse è in quegli strumenti che ci consentono di mettere ordine online, filtrare, il cui algoritmo dovrà essere sempre più preciso se vogliamo dare un peso diverso alle conversazioni. Penso a piccoli motori di ricerca come Spy, ad esempio, oppure allo stesso Friendfeed che ci aiuta a scegliere tra gli amici quelli che sono a noi più affini e quali argomenti (magari in futuro?) ci interessano.
E Google cos’ha intenzione di fare?
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